Nella casa di vetro

sabato, dicembre 08, 2018

Il caso



Avrei qualcosa da dire (scrivere) ma non voglio farlo. Ecco il risultato della cattività, della indisposizione, dell'imbruttimento da cui ho cercato di scappare.
Ogni tanto, per qualche attimo, cerco rifugio qui solamente per avere quella breve consolazione di aver almeno tentato di fare chiarezza nei miei pensieri, perché si può essere dannati ma senza conoscerne i motivi la condanna sarà assicurata.

Ho fatto un sogno e questo sogno ha ribadito il mio carattere che tanto amo e odio.
Anche nel sogno continuo a concedere la libertà di opinione, ad essere disponibile, il mio errore che mi rende disadattato ai tempi che corrono.
La speranza che cambi qualcosa rivelandomi qualcuno dal pensiero affine mi inganna, sono pronto a vedere cose dove non ce ne sono, dove è stato evidentemente dimostrato il contrario.

Non so se si può parlare di sogno lucido quando volutamente si mantengono gli occhi chiusi dopo essersi svegliati e ci si rifiuta coscientemente di abbandonare il sogno continuandolo nella propria mente, e lì tentare di applicare le correzioni che si vogliono.
E queste correzioni sono degli adattamenti al clima contemporaneo, degli allenamenti interiori da applicare a casi affini per risultare all'altezza della situazione e non mostrarsi da meno.
E il dubbio si impadronisce della propria vita, non si è più certi di voler fare quello che si vorrebbe perché le conseguenze sono ogni volta disastrose ma interdicendo questa direzione le cose smettono di avere senso perché non si persegue più il significato e si rimane a fare cose senza alcun motivo.

Mi piacerebbe poter incriminare qualcuno di costringermi così a trascinare una carcassa vuota ma questa condizione di malessere è solo mia perché agli altri va palesemente bene.
I rifiuti che ho collezionato sono fermi lì in posa a dimostrare che quello che non andava bene a me per gli altri era congeniale, le spire di un dedalo da cui non posso uscire.
Talvolta ci si prostra in ginocchio cercando di mostrare la volontà di essere migliore, di sperare in qualcosa di più buono, la capacità di poter benevolere l'altro e poi una nuova disfatta e la necessità di dover reagire in qualche modo perché l'emozione forte che si attendeva deve essere soddisfatta in qualche modo, non gioia ma dolore.
Per la volta successiva ci vorrà più tempo, le ginocchia scricchioleranno, non si sarà più tanto convinti della licealità di chi ci fronteggia e che ciò che si dimostra venga percepito per come appare.

Nel sogno ti ascoltavo e leggevo ciò che avevi scritto riguardante quello che mi stavi raccontando e pensavo che forse tu mi volessi ancora bene. Mi avvicinavo a te e vedevo la tua incertezza e desideravo disperdere questa confusione con i gesti. Nel sogno mi potevi capire.
Fuori dal sogno, nel dormiveglia, in semisenzianza invece immaginavo che tu fossi costretta a parlarmi per poter ottenere qualcosa e che io rimanevo zitto perché capissi cosa significasse essere diniegati senza possibilità di replica. Non solo tu non volevi capirmi ma mettendo da parte l'orgoglio neanche io ero in grado di ascoltarti e di condividere i tuoi pensieri.

Lo so già questo mio modo di pensare verrà considerato come una paranoia, un melodramma, una sega mentale ma per me è un incubo.
L'impossibilità di realizzare questa tranquillità, la libertà di espressione, di amare senza condizioni mi rende folle, sapere di dover esistere ma rinchiuso in degli schemi, a costo di sopravvivere come un cane al guinzaglio accumulando errori che verranno inevitabilmente indicati come la causa e non l'effetto di una vita caduta in disgrazia.

Tutto questo perché mi manca del conforto, devo nascondermi in azioni improduttive come scrivere questo messaggio adesso per mantenere l'illusione di avere ancora la facoltà di decidere per me stesso piuttosto che dovermi conformare agli usi comuni.

La mia è una missiva disperata che non riceverà risposta.