Nella casa di vetro

giovedì, maggio 31, 2007

Uno strano paese

Un giorno il re dei ratti volendo svagare i suoi pensieri decise di uscire dal suo regno per passeggiare.
Per favore della consuetudine prese a vestirsi, cinse in una volta il capo ed i fianchi lasciando infine strascicare la lunga pergamena bianca qualche metro in terra.
Visto che nessun portale era fra il suo regno si ritrovò subito a camminare senza meta nella vallata.
I suoi passi proseguirono tranquillamente fino a che alcune luci non lo distolsero.
Incuriosito si diresse verso quella direzione e arrivarono i suoni variopinti e indeterminati a portare la voce di un piccolo villaggio dove le genti si mescolavano per le strade.
La sua attenzione era rapita dalla varietà estrema di ogni individuo, "avvolte" senza nessun criterio intuibile le persone erano adorne di panni con forme e colori di un gusto che risaltava tanto più unico che casuale nel contrasto. Lo stesso ambiente pareva non voler essere da meno e contornava come una scena pittoresca di un opera folle ed esaltata.
E gli sguardi, fra maschere, trucchi e peli del viso gli offrivano un turbinio avariato di umori quasi stordenti.
A lui parlare non bastava e si mise a sentire trasportato dalle correnti. Semplicemente forse non ne aveva nemmeno le forze ma dovette ricredersi quando un signore dorato arrestò il fluire dei venti della navigazione ammainandogli la perga-vela con un piede.
Avvedendosi almeno di non poter annegare a naso in terra il re riprese quindi la facoltà sulle sue gambe a guardare l'iridescente signore. In realtà rideva per davvero, era vestito in maniera sottile ed appuntita e con espressione gioconda gli disse: "Bello il costume, scommetto che sotto tutto quello strascico non può di certo mancarci... una firma" -continuando a tormentargli l'appendice- "e non hai paura che tenuto così alla fine si rovini?!?".
Nello slancio dell'evidente ripresa il nobile gli rispose: "anche se tu continuerai a calpestare questo tessuto non è certo l'anima che cinge la mia vita che stai sporcando, tanto meno potrai arrivare al mio capo" e così dicendo in conclusione del suo slancio terminò con un forte strattone che fece strappare la eso-tunica sopra il bacino.
Il movimento però si fermò solo dopo che il re dei ratti prese il restante moncone della sua testa e lo gettò in grembo all'interlocutore frontestante e si concluse dicendo: "sono sicuro che però questo sia ben più che sufficiente e ti contenterà di buon grado".
Ed ancora una volta non stava cadendo in un errore perché non solo il signore dorato ma anche tutta la restante platea del quadro scoppiò in lacrime vedendolo completamente nudo.
Gli occhi del nobile ben tesi lo guidarono a ritroso per la strada del suo castello.
Di nuovo non fù questione di tempo rientrare poiché le fogne non hanno valichi protetti.
Il re trovò la suo nuova tunica ad aspettarlo nel suo splendore fatiscente, il regalo della sua brulicante popolazione.
"oggi ho capito che la realtà và oltre il costume" e ringraziando la sua famiglia indossò le sue spoglie.
Quel giorno era CarneVale.

lunedì, maggio 28, 2007

Qahte finge di non morire

Non crede di sapere come gli sia accaduto, in quale preciso istante la sua anima decise o meno di abbandonare il sue essere e degenerare insieme ad esso con una cadenza che non poteva essere confusa col normale decorso dello scibile umano.
Come i suoi organi ed i suoi istinti incessantemente cadevano i suoi precetti in un costante fluire che non incideva la sua memoria in un itinerario di perdizione.
Egli non avrebbe potuto scrivere la sua autobiografia a scandire le proprie tappe.
Eppure l'inesistenza sembrava ch'ei non volesse prenderlo.
Ed il suo tempo passava ogni ragione da rammarico a imitazione.
Così cominciò a mascherare la propria pelle e truccare le sue azioni.
Ciò che all'inizio determinava le sue faccende poi lui le vedeva continuare in sua assenza e la macabra coincidenza voleva che questo funzionasse, ghignante si torcevano i suoi intestini.
E ancora continuava la sua percezione dell'infinito come ogni cosa privata della sua dimensione.
Qahte non seppe mai quando egli effettivamente morì, non s'avvise del suo trapasso e se questo mai accadde ma fù dolce.

sabato, maggio 26, 2007

eppure

proprio quando sto a terra e il mio cervello fugge riesco ad accorgermi della magnificenza di quelle cose che me la mostrano.

giovedì, maggio 10, 2007

Whoops!

Possibile che una singola visione della perfezione passi inosservata perchè tale?
Che ci voglia qualcosa di impuro per destare in noi interesse, almeno per dire, "ah se ci fosse quel non sò chè sarebbe perfetto.".

Crisi d'intentità?


Qual'è la realtà per me?
Un'accecante discrepanza della melodia.
Silenziosi ulri dissonanti
Spezzano e dissolvono l'eco,
e l'anima rintrona.
Ma tante strade ed un solo arrivo.

Mi chiedo, che senso ha parlare in maniera così incomprensibile? basta avere l'intenzione di comprendere qualsiasi cosa si capisca. Non sarebbe un circolo vizioso altrimenti.

In realtà (quella vera per me), non sono nulla di speciale, non studio, non cerco, non spero e faccio finta di pensare.
Mi viene voglia di afferrare e poi non sò bene che cosa, allora potrebbe essere solo un desiderio vano, un esercizio d'immagine, quanto ne è valsa la pena scappare se la tua isola è arida.

Bah, più scrivo e peggio è, mi è dato sapere che la psicopatia o schizzofrenia o come cazzo la si vuol chiamare è data dal volersi tenere o attenere ad un pensiero per una qualsiasi delle ragioni, quello che ottieni da questo ti contraddistingue da genio o persona normale oppure pazzo ma sempre di malattia sintomatica stiamo parlando (dove il sintomo è un evidente stato di antipatia verso se stessi).
Quindi scrivo, scrivo cazzate e non ho niente di meglio da fare.